Automotive europeo, innovare o perire

Automotive europeo, innovare o perire

Ieri (23 settembre), in una intervista alla trasmissione televisiva RAI, Casa Italia, la conduttrice mi ha chiesto un commento sulla possibilità dell’automotive europeo di ritornare ad essere leader mondiale.

Purtroppo per brevità di tempo a disposizione non ho potuto illustrare la complessa situazione che oggi il mondo automotive europeo sta vivendo in particolare rispetto al modello cinese di cui sono parte.

La mia prima osservazione è che l’automotive europeo non ha saputo cogliere negli ultimi 30 anni il vento dell’innovazione, non tanto per mancate conoscenze ma piuttosto per mancanza da parte dei players consolidati di una volontà di investire gli enormi capitali necessari che servono per produrre meglio e a minor costo.

Automotive europeo, innovare o perireSi guardi bene che quest’affermazione vale sia per i veicoli elettrici che per quelli a combustione.

La Cina ha trovato i capitali e la chiarezza di idee per imporre questo nuovo modello di produzione ed ora è dunque in grado di dominare i mercati mondiali per ogni tipo di prodotto automotive, come abbiamo detto, non solo elettrico.

Non è un caso che le auto cinesi che vengono in Europa sono per l’85% con motori termici a bordo e che qui in Cina un ibrido plug in con motore termico costi assai meno dello stesso modello in versione BEV.

Allora cerchiamo di analizzare in cosa si differenzia il modello della produzione automotive cinese rispetto al tradizionale modo costruttivo degli automakers europei.

1 – 100.000 Ingeneri contro 1 Operaio

 Questo è il primo punto. Oggi per produrre automobili non servono più operai, come ai tempi delle catene di montaggio. Oggi in Cina almeno 20 fabbriche producono auto con sistemi totalmente automatizzati. In circa un minuto una vettura viene creata da zero con l’intervento di migliaia di sistemi robotizzati. Se gli operai non servono più servono invece moltissimi ingegneri che siano in grado di progettare e far funzionare correttamente questi complessi macchinari. Qui in Cina non è un problema trovare giovani ingegneri, ma in Europa dove troveremmo questa nuova enorme quantità di personale altamente qualificato?

2 – Integrazione verticale

Automotive europeo, innovare o perireIl secondo punto fondamentale è l’integrazione verticale, il che significa che tutto è fatto in casa dal produttore. Il campione della produzione verticale è BYD che produce tutto, inclusi i famosi Chips elettronici, che sono già più avanzati di quelli importati dall’estero. Ma più dei chips la cosa più importante sono le batterie che rappresentano quasi il 50% del costo di una vettura elettrica, ed il 30% di una Plug In. Per questo anche nel mio caso personale, ho da subito capito che se non si producono insieme auto e batterie non si può essere concorrenziali. Una cosa non capita in Europa dove non esistono di fatto impianti di batterie di proprietà degli automakers.

Anche in questo caso si tratta di una incapacità di trovare i finanziamenti, in definitiva di assumersi il rischio di innovare.

3 – Fine delle filiere industriali

Il risultato della integrazione verticale è la fine delle filiere industriali che hanno per decenni affiancato in Europa i grandi automakers e che invece in Cina ormai non servono a nessuno. Le grandi società di componentistica con i loro sottofornitori, in realtà sottraggono buona parte del profitto al produttore auto riducendone i margini. Ecco perché in Cina le filiere sono state azzerate. Ma sarebbe possibile fare questo in Europa? E in Italia, dove ormai quasi non si fabbricano più auto e rimangono solo subfornitori per il mercato tedesco?

4 – Fine dei concessionari

Automotive europeo, innovare o perireQuesta non è stata nemmeno una idea cinese, il primo automakers a segnare la fine dei concessionari e l’inizio delle vendite on line è stata la americana Tesla (che tuttavia produce la maggior parte delle sue auto in Cina con sistema produttivo cinese). Possiamo accettare questo in Europa? Eppure sarebbe necessario perché anche i concessionari sottraggono quote di profitto nella vendita. E per essere concorrenziale si devono azzerare tutte le spese superflue.

Con questi 4 punti fondamentali si riesce ad essere competitivi e ad ottenere significative quote di mercato sia esso relativo a vetture a nuova energia o tradizionali.

Non hanno per me senso le polemiche artificiose contro l’elettrico e a favore di una supposta neutralità tecnologica per salvare l’automotive europeo. La neutralità tecnologica già esiste, in Cina tutte le auto di tutti i tipi, costano enormemente meno di quelle costruite in Europa, e si badi bene non perché gli operai lavorino di più o guadagnino di meno di quelli per esempio italiani.

Il tutto risiede solamente negli investimenti enormi che bisogna affrontare per essere competitivi.

In Cina questi investimenti si sono trovati anche grazie al supporto di capitali finanziari esteri (ricordiamo solo per esempio il 20% delle azioni BYD acquistate da Buffet nel lontano 2010), E le raccolte di capitali di quasi tutte le start up automotive cinesi al NASDAQ di New York.

In Europa si è vissuti nella speranza che il blasone centenario potesse coprire la sostanziale arretratezza dei veicoli, una cosa che sempre meno attira a livello globale.

Ho chiuso la mia intervista con la speranza di una possibile ripresa della manifattura automotive in Italia legata a settori di nicchia, come quelle delle auto superlusso e all’opposto di quadricicli e moto sportive. In questi settori artigianalità e design, anche se a costi elevati come nel caso della nautica da diporto, potrebbero trovare mercato.

#MarcoLoglio #theEMNteam

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