Intervista a César Mendoza, fondatore e Ceo di Nito

Cèsar Mendoza Nito

di Matteo Sala

Electric Motor News

Milano, 8 Novembre 2017. Ecologia, design, accessibilità e divertimento. È su questi quattro pilastri che César Mendoza, fondatore e Ceo di Nito, ha posto le basi della start-up torinese, presente per il secondo anno a Eicma.

“Nasciamo come una smart mobility con l’obiettivo di trovare quelle soluzioni che permettano alle persone, in un contesto cittadino, di muoversi più velocemente, spendendo meno o combinando coni mezzi pubblici, per ridurre a zero il proprio contributo di anidride carbonica sul lato mobilità”, racconta Mendoza a Electricmotornews.com. “La mobilità elettrica in Italia è ancora qualcosa di innovativo, e crediamo che il design abbia un ruolo importante da giocare permettere di identificare meglio l’oggetto. E questo avviene scegliendo materiali come il legno, che trasmettono l’idea di naturale, ma anche evidenziando l’assenza di componenti. Se vado a riempire lo schema di una moto anche dove sarebbe vuota – perché non ci sono più i filtri d’aria, la marmitta, il motore termico – la gente non si rende conto che c’è un cambiamento. Invece se si guardano i nostri prodotti, la domanda che sorge è ‘come fanno a muoversi?’, c’è dunque quell’aspetto magico che fa parte di come vogliamo presentarci. Al tempo stesso chi li usa può dire che lui contribuisce a un ambiente più sano”.

Quale novità portate a Eicma?

“Il NES che presentiamo è il modello definitivo al 98%, ci vorrà ancora qualche aggiustamento, sarà sul mercato da gennaio, ma è già preordinabile. In questo primo anno avremo una produzione da 500 a 750 pezzi, quindi è meglio prenotarsi in anticipo. Abbiamo usato motori da 4 kW, il limite tra ciclomotore e motociclo, e li abbiamo sfruttati tutti, perché credo che il  motore elettrico debba anche dare grinta e soddisfazione. Ma abbiamo anche speso molto tempo sul settaggio delle centraline per garantire potenza e allo stesso tempo un’erogazione dolce, che renda la guida gradevole. La batteria è estraibile, pesa dieci chili, e può essere ricaricata in casa e tra qualche mese avremo una doppia batteria”.

Cèsar Mendoza NitoEfficienza, potenza ma anche convenienza…

“Indipendentemente che sia una moto o un monopattino, il nostro prodotto deve essere abbordabile. Vogliamo che il consumatore trovi equilibrato quello che noi offriamo con quello che lui paga. Questo non vuole dire che facciamo una guerra per il prezzo, ma che quello che proponiamo a medio e lungo termine costa realmente poco in funzione di quello che offre. Lo scooter che stiamo presentando, ad esempio, ha un board di legno e ha materiali pregiati, ma nella sua versione ciclomotore, costa 4.750 euro, mentre in quella motociclo costa 5.250 euro. Facendo mediamente 20 chilometri al giorno per recarsi al lavoro durante l’anno, il proprietario spende in totale 50 euro di ‘carburante’, niente bollo e metà assicurazione. Quindi nel giro di un anno e mezzo si recupera quell’apparente spesa aggiuntiva, avendo al contempo un oggetto inedito, molto bello a livello di materiali e customizzabile con 72 diverse combinazioni, facilmente configurabili attraversi il nostro sito”.

Una filosofia di prezzo che ha dirette ricadute sulla scelta della componentistica e della produzione…

“Se facessimo tutto in Italia saremmo già fuori mercato. Per questo abbiamo utilizzato una combinazione di industrie. gestiamo e controlliamo la qualità di un nostro partner cinese che fa tutta la parte industriale, equivalente al 70% del prodotto. Il restante 30%, invece, viene prodotto in Italia. Se vendiamo in Europa assembliamo in Italia, a Torino. Se vendiamo in Asia, assembliamo in Cina”.

Quale è il vostro mercato principale?

“Diversamente da quei pochi produttori di moto elettriche italiane che dicono di vendere di più all’estero, noi siamo affezionati al mercato italiano e prevediamo il posizionamento sul nostro territorio con una rete di sessanta dealer, in città e in località importanti a livello turistico. Seguono Spagna, Francia, Germania, e stiamo per entrare in Cina, dove i volumi sono molto più alti che qui e dove il design che si fa in Italia, soprattutto il nostro, è difficilmente paragonabile a uno locale”.

Quanto è difficile per una start-up come la vostra riuscire ad affermarsi e crescere?

“Posizionarsi è stato meno difficile di quello che pensassi. Oggi chi vende più scooter ha un prodotto fondamentalmente brutto, mentre noi, essendo più piccoli e battendoci su altri campi, crediamo che chi sale su un due ruote debba sentirsi identificato e gratificato per quello che usa. Non è solo una scelta funzionale o economica. Ci scegliamo una camicia, dei pantaloni, una macchina, la casa, quindi perché non scegliere qualcosa di bello per muoverci su due ruote?”.

La mobilità elettrica rimarrà circoscritta al contesto urbano o ha il potenziale per diventare l’unica forma di mobilità?

“Se trasformiamo il parco di veicoli dal termico all’elettrico, la rete oggi non tiene. Già questo dimostra che può esserci una progressione che può durare anche trent’anni per trasformare una rete. Non credo nemmeno comunque che la conversione completa all’elettrico debba essere un obiettivo, come sta succedendo in alcuni Paesi che danno paletti molto importanti sul comportamento che deve avere il consumatore. Nonostante adori l’elettrico, mi piace vedere le cose in maniera un po’ più flessibile: una persona deve poter scegliere che cosa vuole usare. Poi non c’è dubbio che scegliere l’elettrico sia una scelta bella, che costa meno, che fa bene a sé e agli altri. Ma la questione è che bisogna portare il cittadino alla comprensione di una tecnologia perché ne prenda atto e faccia delle scelte consapevoli, piuttosto che obbligarlo. In ogni caso sono sicuro che nel lungo termine – e intendo otto, dieci anni – l’elettrico potrà rappresentare nel contesto urbano intorno al 60% delle due ruote. Sul lato tecnico, nei prossimi dieci anni i tempi di ricarica e l’autonomia dei veicoli conosceranno una ulteriore evoluzione. Oggi, a meno di non farla sembrare un cammello caricato di batterie, una due ruote non fa i 300 chilometri, l’autonomia è intorno ai centoventi, cento, ottanta chilometri, in base alle scelte delle aziende. Personalmente preferisco più divertimento e potenza e meno autonomia”.

Le infrastrutture in Italia sono adeguate?

“Ci sono pochi comuni che quando hanno fatto le gare delle colonnine hanno richiesto la flessibilità di ricarica per i diversi tipi di veicoli”, evidenzia Mendoza, “e quasi tutti non hanno pensato alla cosa più semplice, il low charge normale. Quindi stiamo cercando di sensibilizzare su questo fronte. Occorrerebbe la massima flessibilità delle colonnine perché almeno il 60% dei mezzi siano facilmente ricaricabili”.

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