Auto senza pilota, tutte le tecnologie

Fonte: Zeus News

 

27 Ottobre 2016. La tecnologia più impressionante è probabilmente quella che Tesla chiama Autopilot, ossia Pilota Automatico.

Svelata per la prima volta nell’ottobre del 2015, è un sistema che utilizza videocamere, radar e una sorta di sonar per gestire contemporaneamente tutte le funzioni di cruise control adattivo, controllo del cambio di corsia, frenata d’emergenza e sterzo automatico.

Sebbene Tesla non lo consigli, è persino possibile per il guidatore lasciare il volante per brevi periodi di tempo: sarà l’auto a occuparsi della guida.

Tesla Autopilot

Tra le funzioni di Autopilot che più lasciano sbalorditi c’è la capacità di rispondere alla chiamata del proprietario: l’auto parcheggiata si accende e – entro certi limiti – lo raggiunge in totale autonomia.

Il pilota automatico è anche in grado di parcheggiare automaticamente il veicolo e indicare al guidatore la presenza di un posto delle dimensioni giuste, qualora gli sia sfuggito.

Una Tesla con Autopilot è altresì capace di prendere da sola la corretta uscita dell’autostrada quando il guidatore tocca il comando della freccia e di reagire in autonomia ai cambi improvvisi di corsia da parte degli altri veicoli (che potrebbero causare un incidente).

La Macchina degli Incubi del MIT

Volti e luoghi terrorizzanti arrivano sul web in vista di Halloween. I computer imparano il modo migliore per spaventarci.

L’americana festa di Halloween è ormai alle porte con il suo carico di mostri e paure, e il MIT ha deciso di celebrarla in un modo che è a un tempo in tema e intelligente.

Ha infatti lanciato la Nightmare Machine (Macchina degli Incubi), un esperimento che prova a spaventare i suoi utenti attraverso immagini generate da un particolare algoritmo.

La domanda sottesa a tutto ciò non è banale: si può insegnare – si chiedono i ricercatori del MIT – a una macchina a riconoscere ciò che è spaventoso per un essere umano? In altre parole: si può insegnare a una macchina a riconoscere la paura?

Per riuscirci, gli scienziati hanno innanzitutto creato un algoritmo che estrapola tutti gli elementi spaventosi da un’immagine e li applica a un soggetto “normale” (volti, luoghi famosi) nel tentativo di renderlo terrorizzante.

«Quantificare ciò che è spaventoso non è un problema facile, figuriamoci descriverlo in un algoritmo» spiega Iyad Rahwan, professore del MIT Media Lab. «È per questo che in questo caso è utile l’apprendimento automatico (“machine learning”), perché possiamo mostrare all’algoritmo l’immagine di qualcosa di pauroso e chiedergli di imparare da sé i dettagli paurosi».

Nonostante queste premesse, il risultato non è stato perfetto: alcune delle immagini prodotte come risultato non sono affatto spaventose.

Gli scienziati del MIT hanno allora assoldato alcune persone per indicare all’algoritmo quali volti e luoghi fossero davvero spaventosi, scoprendo che in generale c’è un certo consenso nell’indicare quali visioni facciano davvero paura, e quali invece no.

Quello umano è un intervento fondamentale, poiché per il computer quelle immagini «fanno tutte paura allo stesso modo» come spiega uno dei membri del team, Pinar Yanardag. «Ciò ci indica che c’è un’informazione ulteriore che riguarda il modo in cui gli esseri umani percepiscono l’orrore e che può essere adoperata in modo da creare facce ancora più spaventose, o anche immagini orripilanti personalizzate qualora volessimo regolare il processo per elaborare dati individuali».

Per raffinare ulteriormente l’identificazione dei volti spaventosi, i ricercatori hanno poi pensato di chiedere aiuto ai naviganti del web. Tramite la pagina del progetto Nightmare Machine, ciascuno può aiutare a identificare le facce e i luoghi più orrendi.

In premio, chi completa il breve “test” ottiene una propria personale galleria di volti o luoghi spaventosi, che può poi condividere sui social network.

Il Lidar di Ford

Ford Lidar

Anche se forse attira meno l’attenzione rispetto ai concorrenti, Ford da anni è impegnata nella realizzazione di veicoli autonomi, come dimostra la Fusion Hybrid presentata già nel 2013.

L’obiettivo cui punta l’azienda americana è molto preciso: immettere sul mercato auto a guida completamente automatica entro il 2021.

Per trasformare il sogno in realtà, Ford si è concentrata sull’affinamento del Lidar, ossia un sistema di rilevamento basato sull’utilizzo di fasci di laser.

L’equipaggiamento Lidar è ben visibile sull’auto: sono quei cilindri – le Fusion sperimentali ne usano fino a quattro – montati sul tetto.

Essi hanno il compito di rilevare tutto ciò che si trova entro un raggio di 60 metri dal veicolo e in base alle informazioni ricavate disegnare una mappa tridimensionale, aggiornata in tempo reale, secondo la quale l’auto si muove.

La Google Car

L’auto a guida automatica di Google è forse quella che in questi anni ha ottenuto la maggior attenzione.

Google Car

Sin dalla sua particolare forma arrotondata e dalla chiacchierata assenza del volante (poi almeno parzialmente ritrattata), la Google Car si presenta come un concentrato di tecnologia che rende completamente obsoleto l’intervento umano, almeno nelle intenzioni.

L’interno dell’auto, infatti, è progettato per favorire la conversazione e qualunque altra attività ricreativa o lavorativa si voglia svolgere all’interno dell’abitacolo: alla guida pensa il computer.

Completamente elettrica, ha una dotazione di sensori che comprende Lidar, radar e videocamere integrati in una cupola montata sul tetto.

Accanto al sistema principale, Google ha pensato di inserire un sistema di backup, che entra in funzione quando il primo è in avaria ed è capace di frenare, sterzare e in generale condurre l’auto al sicuro.

Non ci sono al momento pronostici su quando la Google Car sarà in grado di prendere la strada: il gigante di Mountain View sta conducendo serissimi test per evitare che il giorno del lancio si trasformi in un disastro, qualora l’auto dovesse incontrare problemi imprevisti (come una tutto sommato rara bici a scatto fisso) o addirittura causare un incidente.

I taxi autonomi di Uber

I taxi Uber

Uber è riuscita a battere tutti sul tempo dispiegando una piccola flotta di taxi a guida automatica che già stanno servendo i passeggeri di alcune zone di Pittsburgh, negli USA.

Anche se il servizio di taxi autonomi è ancora classificato come esperimento, la sua apparizione sulle strade americane sta permettendo di vedere quanto sia vicino quel futuro che finora pareva ancora lontano.

Per funzionare, i taxi di Uber usano un sistema combinato di Lidar e videocamere installati in una complessa apparecchiatura montata sul tetto e in altri dispositivi, meno visibili, presenti nella parte bassa della vettura.

Sono ben 20 le videocamere in azione, mentre il Lidar invia 1,4 milioni di impulsi laser al secondo per creare una mappa 3D dell’ambiente circostante.

Un’ulteriore videocamera, posta frontalmente, provvede poi a fornire la mappa 3D dei colori reali, mentre delle antenne usano il segnale GPS per contribuire a calcolare la posizione del veicolo.

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