L’Italia nell’OPEC? Con le biomasse

Grazie all’utilizzo del potenziale energetico delle biomasse, il nostro Paese potrebbe produrre energia per 28 milioni di petrolio equivalente l’anno.

Le biomasse (da residui o da produzioni dedicate) sono l’elemento spesso dimenticato nell’equazione energetica finalmente equilibrata necessaria per il nostro Paese, anche perché costituiscono l’unica fonte rinnovabile immediatamente disponibile che oltre a elettricità sia in grado di fornire calore a bassa temperatura (per il riscaldamento) con efficienza.

Strano destino quello delle biomasse. Sono la fonte di energia sfruttata da più tempo, sono rinnovabili, sono di produzione interna, eppure l’opinione pubblica fa fatica a metterle a fuoco come una delle fonti necessarie ad un panorama energetico nazionale finalmente bilanciato e “pluricolturale”.

Tecnicamente, poi, le biomasse hanno il vantaggio di coprire con un’efficienza accettabile tutti i possibili campi di utilizzo dell’energia, dalla generazione di calore a media e bassa temperatura alla produzione di elettricità e ai trasporti.

Infine, si adattano bene all’utilizzo sia su grande che su piccola e piccolissima scala con un’efficienza sempre interessante: una stufa a legna domestica è un impianto a biomasse altrettanto conveniente di una centrale elettrica a ciclo combinato da qualche decina di MW alimentata da biogas da discarica.

Secondo le stime di ITABIA, Aper e Fiper, le tre associazioni industriali italiane che hanno a cuore il settore, nel nostro Paese esiste un potenziale di biomasse utilizzabile a scopi energetici compreso tra i 24 e i 28 milioni di tonnellate di petrolio equivalenti (MTEP) l’anno, circa la produzione di uno stato petrolifero come l’Ecuador.

La grande maggioranza di questo potenziale risiede genericamente nei residui, di cui 5 MTEP potenziali da scarti dell’agricoltura e dell’agro-industria, 4,3 della silvicoltura e dell’industria del legno, 0,3 dalle discariche (il dato è annuale, ossia dei rifiuti scaricati ogni anno) e, non una novità ma sempre impressionante, ben 10-12 MTEP dai rifiuti della zootecnia.

A questi si devono aggiungere un paio di MTEP dalla legna da ardere e da 3 a 5 MTEP da culture dedicate alle bioenergie (per produrre biofuel, biodiesel, oli combustibili ma anche legna). Di questo potenziale nel 2008 è stato sfruttato circa un quinto, 5,53 MTEP, per la produzione di energia elettrica, energia termica e biocarburanti.

Secondo le previsioni presentate dal Governo nel 2007 nel quadro degli accordi europei del 20-20-20, l’Italia dovrebbe sostituire entro il 2020 il 7—8 per cento dell’energia primaria consumata con fonti di origine biologica. Fatti due conti, ciò significa che da 5,53 MTEP provenienti da biomasse bisognerebbe arrivare a 16-18 MTEP: ballano, quindi, 12 MTEP.

Ce la si può fare? Sembra di sì, essenzialmente perché le tecnologie, a differenza per esempio del fotovoltaico, sono già disponibili e mature, e oltretutto diversificate, per permettere di triplicare gli utilizzi in dieci anni a costi convenienti.

Ci sono tecnologie per filiere corte e per filiere agro-industriali, un’ottima sinergia con i progressi fatti con la cogenerazione e la trigenerazione di piccola taglia, un esercito di impiantisti e installatori perfettamente formati.

Il quadro degli incentivi è abbastanza chiaro se dalle biomasse si produce energia elettrica, anche se non particolarmente generoso. Niente conto energia ai massimi del mondo come nel fotovoltaico ma una più modesta tariffa onnicomprensiva (comprendente quindi sia acquisto dell’energia e incentivo) pari a 0,28 centesimi di euro a KW/h per il biogas e le biomasse agricole, silvicole e zootecniche e 0,18 centesimi a Kwh.

Se invece di energia elettrica si produce calore, si può puntare sugli incentivi delle amministrazioni locali, sulla detrazione del 55 per cento per la riqualificazione energetica degli edifici e sul fatto che certe biomasse, come il cippato di legno, sono comunque convenienti economicamente se la filiera di raccolta non è troppo lunga.

Le associazioni di cui sopra vedono gli ostacoli soprattutto sul lato organizzativo e di comunità. Le biomasse, in particolare quelle da residui, vanno raccolte e, a parte il caso dell’autoconsumo, questo implica accordi di filiera. E si sa che nel nostro Paese far andare d’accordo categorie e territori diversi su un obiettivo che farebbe comunque guadagnare tutti è più complicato che organizzare la conquista di Marte. C’è poi da considerare l’effetto NIMBY, che ora fa sorgere resistenze persino verso impianti di teleriscaldamento a cippato.

Si parlerà molto di biomasse quest’anno alle Giornate della Microgenerazione, il 9 e 10 marzo a Milano, dove tutte le fonti della nuova energia verranno esaminate nella loro realtà tecnica ed economica, per i vantaggi che possono dare in casi reali, che non possono prescindere da tutti i fattori in gioco, come gli incentivi e le agevolazioni.

In agenda largo spazio viene dedicato proprio a queste componenti dell’equazione della convenienza energetica per l’utilizzatore finale. E’ un’impostazione che viene da quattro anni molto apprezzata dal pubblico e dalle aziende, che hanno anche quest’anno confermato il loro appoggio, come ASTRIM (Gold Sponsor), AB Energy (Silver Sponsor), Edison e Turboden (Speech Sponsors).

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*


Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.