Fallimento della Bright Automobili

Un’Idea brillante rimasta senza finanziamenti (pubblici)

Fonte: Autoambiente

19 maggio 2012.Doveva essere la Tesla dei veicoli commerciali, ma la Bright Automotive ha chiuso i battenti prima di mettere sul mercato un solo furgone, il bimodale Idea di cui resteranno quindi pochi prototipi. Il 28 febbraio 2012 Reuben Munger, amministratore delegato della società, ha annunciato la chiusura dell’attività puntando l’indice sul governo americano. La colpa dell’amministrazione Obama, o più precisamente del Doe, il Dipartimento dell’Energia americano, sarebbe la mancata concessione di un prestito da 450 milioni di dollari richiesto nel 2008 nell’ambito di un progetto governativo da 25 miliardi di dollari per sostenere la diffusione dell’auto elettrica negli Usa. Il Doe, da parte sua, ha commentato che la Bright non offriva abbastanza garanzie per salvaguardare dai rischi il contribuente americano.

Una cautela forse incrementata dal recente fallimento di una società impegnata nell’energia solare, la Solyndra, che ha trascinato con sé la sua dote di 535 milioni di dollari di prestito pubblico.

Nel 2010, l’ente governativo aveva chiesto investimenti per 120 milioni di dollari a spese della stessa Bright per poter concedere un prestito da 314 milioni. Sfumato l’accordo, la richiesta del Doe e della sua “giuria” di dieci membri, è salita in tre tappe successive, a 345 milioni da parte dell’azienda, alla quale inoltre era stato caldamente suggerito di legarsi a un “costruttore affermato” per continuare l’attività. In tal senso, la Bright aveva compiuto solo qualche timido passo, ottenendo 5 milioni di dollari da General Motors, che avrebbe fornito il motore termico, e siglato un accordo di massima sulla produzione dell’Idea con la AM General, ditta le cui linee di montaggio fino a tempi recenti sfornavano i megafuoristrada Hummer per conto della stessa GM.

Trattamento diverso o garanzie insufficienti?

La Bright sostiene di aver ricevuto un trattamento ben differente rispetto alle prime aziende che avevano ottenuto finanziamenti per l’auto elettrica: Nissan, Ford, Tesla e quindi Fisker. Aziende per le quali la quota di investimento iniziale richiesto si aggirava attorno al 20%. Da dire però che le prime due offrivano ampie garanzie connesse alle loro enormi dimensioni, mentre alle spalle di Tesla c’era l’ingente patrimonio personale del fondatore, Elon Musk. E infatti questi tre costruttori si sono poi dimostrate in grado di rispettare gli impegni presi, mentre la sola Fisker è rimasta un po’ a metà strada come spieghiamo in un altro articolo.

In attesa del finanziamento che non è arrivato, la Bright si era tenuta a galla con i ricavi della eSolutions, divisione interna impegnata soprattutto nella trasformazione in elettrici o ibridi di veicoli come il Chrysler Grand Caravan (in Europa Chrysler/Lancia Grand Voyager), del suo parente stretto Volkswagen Routan e del commerciale Transporter. La eSolutions aveva anche stipulato un contratto da 1,4 milioni di dollari col settore Carri armati dell’Esercito Usa per studiare la fattibilità dell’elettrificazione dei veicoli non da combattimento.

Spuntano le solite ombre cinesi…

La questione del mancato finanziamento è e resterà controversa e non abbiamo certo gli elementi per giudicare chi abbia ragione. Reuben Munger e il direttore operativo Mike Donoughe hanno scritto una lettera a Steven Chu, il premio Nobel a capo del Doe, spiegando le loro ragioni sostenendo che il piano governativo ha messo le “società americane alla mercé di un gruppo di burocrati” e che le uniche serie opportunità di finanziamento possono arrivare dall’estero. In proposito, Munger e Donoughe si assumono la responsabilità di non essersi rivolti alla Cina “perché volevamo fosse ben chiaro che la Bright era un’azienda americana”.

Uno dei sessanta ex dipendenti rimasti a piedi avrebbe peraltro affermato che c’era un accordo di massima con un’azienda cinese, commentando “se avessimo saputo che andava così con il Doe, ora saremmo di proprietà cinese e staremmo continuando l’attività”. Un’altra opinione su cui è difficile esprimersi: anche i cinesi richiedono precise garanzie prima di metter mano al portafogli, come il recente caso Saab è lì a dimostrare.

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*


Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.